Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato (1971) tra i film della Biblioteca del Congresso
Traduzione a cura di Annamaria Martinolli
Il presente saggio breve è stato pubblicato sul sito della Library of Congress di Washington nell’ambito del progetto di tutela del patrimonio cinematografico statunitense. L’autore è Brian Scott Mednick. La traduzione è a cura di Annamaria Martinolli.
Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato, un classico nel suo genere a cui il pubblico è molto legato, non fu considerato da Gene Wilder uno dei suoi migliori film: “Non voglio che sulla mia lapide si legga l’epigrafe QUI GIACE WILLY WONKA”, dichiarò nel 2002.
Quando, il 29 agosto 2016, Gene Wilder morì all’età di ottantatrè anni, risultò chiaro che aveva ben poca voce in capitolo sulla sua eredità. La copertura data all’evento, meritatamente vasta, si focalizzò in maniera schiacciante sulla sua interpretazione di Willy Wonka. Quasi ogni necrologio apparso in televisione, online o in formato cartaceo conteneva immagini tratte dal film o scene di lui nel ruolo dell’eccentrico produttore di dolciumi.
La regia era di Mel Stuart, che fino ad allora si era occupato soprattutto di documentari. L’idea di trarre una pellicola dal romanzo per bambini Charlie e la fabbrica di cioccolato, scritto da Roald Dahl nel 1964, nacque quando la figlia minore di Stuart gli disse che doveva realizzare un film dal libro che lei aveva letto. Mel Stuart, all’epoca vicepresidente della David Wolper Productions, lesse il romanzo, ci vide un grande potenziale e lo sottopose a David L. Wolper. Wolper voleva ricavarci un film d’animazione, ma Stuart pensò che in live-action avrebbe funzionato. Così Wolper, noto nell’ambiente hollywoodiano per l’abilità con cui riusciva a mettere insieme in breve tempo i progetti, convinse la Quaker Oats a racimolare i tremilioni di dollari di budget, e la Warner Bros distribuì la pellicola nel 1971.
Prima di scegliere chi avrebbe interpretato il personaggio principale, Stuart trovò gli attori per coprire i ruoli dei bambini e dei genitori. Quando giunse il momento di selezionare il potenziale Wonka, Stuart e Wolper organizzarono il casting al New York Plaza Hotel. Joel Grey entrò e sostenne il provino. Ai due piacque molto, sapeva cantare e fisicamente era perfetto per la parte in quanto nel romanzo Willy Wonka viene descritto come un uomo minuto. Poi, fu provinato Gene Wilder. Appena lo vide, Mel Stuart si voltò verso David L. Wolper e gli disse che era magnifico, Willy Wonka era lui e nessun altro. Wolper gli suggerì di tenere la bocca chiusa, altrimenti l’attore avrebbe chiesto più soldi di quelli previsti.
Finita la sua lettura del copione, Wilder stava per andarsene quando Stuart non riuscì più a trattenersi. Gli corse dietro mentre stava per salire in ascensore e gli disse che la parte era sua e avrebbero trovato un accordo. Dopo l’assegnazione del ruolo principale, Mel Stuart si preoccupò di coprire alcuni ruoli minori, il che significava assumere anche uno schieramento di persone basse di statura, molte delle quali non parlavano una parola di inglese, per interpretare gli operai della fabbrica Wonka noti come Umpa Lumpa. Questi ultimi fungono in un certo senso da coro greco poiché commentano in forma cantata i cattivi comportamenti dei ragazzini.
Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato è in senso stretto un film per bambini, ma il suo fascino va ben oltre. Si scopre con piacere che non è stucchevolmente zuccheroso. I bambini viziati vengono trattati con un cupo umorismo che la maggior parte degli adulti è in grado di apprezzare. Infatti, Mel Stuart ribadì più volte che non era sua intenzione realizzare un film per l’infanzia: “Sto facendo un film per adulti, e le piccole pesti possono venire a vederlo e ridere… Ho moltissima stima dei bambini… circa la loro capacità di coglierne il senso”.
Per lui lavorare con Gene Wilder fu un’esperienza molto positiva. “È risaputo”, dichiarò, “che a Hollywood ci sono attori che uno non vuole assolutamente dirigere perché non vale la pena rischiare la vita. Ne potrei nominare un paio, ma non lo faccio. Con Gene Wilder le cose sono andate all’opposto… L’atmosfera sul set fu molto tranquilla perché tutti erano entusiasti di quello che stava avvenendo”.
Secondo Gene Wilder, tuttavia, Mel Stuart “era un matto che urlava e strillava, non a me, ma alla troupe, dimostrando una totale incapacità di capire che non puoi strillare a uno di loro senza che la cosa si ripercuota su ogni attore che si troverà a recitare in quella scena”.
Il regista fu impressionato dall’attenzione per i dettagli che l’attore dimostrò nell’impersonare Wonka, come ad esempio il modo deliberato in cui i suoi cappelli apparivano più crespi e fuori controllo man mano che il film procedeva: “Era una scelta riflettuta su cui aveva lavorato molto in modo che, pian piano e con l’avanzare della pellicola, il tipo sembrasse sempre più matto”.
Gene Wilder diede una buona impressione di sé anche quando non era nel personaggio. Il film fu girato a Monaco, in Germania, e quando arrivò il giorno del Ringraziamento, l’attore pagò un’ottima cena a base di tacchino all’intero cast e alla troupe. E anche se andava d’accordo con i suoi giovani coprotagonisti, secondo Stuart non smise mai del tutto i panni di Willy Wonka durante le cinque settimane passate a Monaco: “Ho scoperto che gli attori davvero bravi diventano il loro personaggio anche fuori dal set. Quindi Gene restò sempre leggermente distaccato”.
Malgrado sia diventato un cult, Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato non incassò molto quando uscì nelle sale. Tuttavia, grazie al mercato dell’home video, divenne il film preferito di milioni di persone cresciute negli anni Ottanta e ancora al giorno d’oggi.
Anche se si tratta di uno dei suoi film più amati, Gene Wilder ne era deluso. “È un film che poteva essere magnifico, ma con un altro regista”, dichiarò. “All’epoca temevano così tanto la NAACP (Associazione Nazionale per l’Avanzamento delle Persone di Colore) e il rischio di offendere i neri che trasformarono gli Umpa Lumpa in uomini dalla faccia arancione e i capelli verdi che immagino dovessero assomigliare ai Mastichini del Mago di Oz, e questo non c’entrava nulla. Si trattava del rapporto che Willy Wonka aveva instaurato con le persone di un altro paese che aveva salvato. Il senso non fu colto. Il tema era l’amore. Invece loro si dissero: ‘Beh, evitiamo di offendere qualcuno’”.
A dimostrazione di quanto le persone gli volessero bene, nel weekend successivo alla sua morte la catena AMC Theatres ripropose, in sale selezionate degli Stati Uniti, Willy Wonka e Mezzogiorno e mezzo di fuoco al prezzo totale di soli cinque dollari. Una scelta senza precedenti in seguito alla scomparsa di un attore.
Il critico cinematografico Robert Ebert definì la grandezza di Willy Wonka paragonandolo a un altro film che per molti è un sentimentale tra i preferiti dell’infanzia: “È probabilmente il miglior film nel suo genere dai tempi del Mago di Oz. È tutto quello che i film per famiglie di solito pretendono di essere, ma non sono: delizioso, divertente, spaventoso, emozionante e, soprattutto, una vera opera d’immaginazione”.
Gene Wilder non nascose la sua disapprovazione per la versione di Tim Burton del 2005. Prima dell’uscita del film, dichiarò che il nuovo adattamento era “solo questione di soldi” e che non c’era alcun bisogno di una nuova versione cinematografica del romanzo.
A conferma della considerazione di Wilder sulle nuove incarnazioni del film sfruttate a scopo di lucro, un musical di Broadway aprì i battenti nell’aprile del 2017 mentre, meno di due mesi dopo la morte dell’attore, la Warner Bros. fece infuriare i fan di Wilder/Wonka annunciando una sorta di prequel sulle avventure del personaggio da giovane.
Gene Wilder desiderava essere ricordato soprattutto per Frankenstein Junior, da lui considerato il suo film più bello. E anche se resterà nella memoria per molti ruoli, nel cuore e nella mente del pubblico era Willy Wonka, l’originale, l’unico, il migliore. È difficile immaginare altri attori in quella parte, o che il film, senza di lui, possa essere quel punto di riferimento duraturo che attualmente è.
Biografia
Brian Scott Mednick ha conseguito un BFA con specializzazione in cinematografia e televisione alla New York University. È autore, critico e cineasta. I suoi scritti sono stati pubblicati su molte riviste e quotidiani. Per quindici anni si è occupato della stesura, accompagnata da attività di documentazione, della biografia di Gene Wilder Gene Wilder: Funny and Sad, pubblicata a dicembre 2010 con recensioni entusiastiche. Tra gli altri libri che ha scritto vale la pena citare la raccolta di racconti brevi Drinking Games… and Other Stories (2011) e il romanzo Unnecessary Headaches (2013). Vive a New York City. Il suo sito web è http://www.brianscottmednick.com/