Cercasi impiegato (da umiliare)
Traduzione a cura di Annamaria Martinolli
Il presente articolo è stato pubblicato sul quotidiano El País il 23 ottobre 2005. L’autore è Andrea Rizzi (EL PAÍS). La traduzione è a cura di Annamaria Martinolli. © Andrea Rizzi (Ediciones EL PAÍS, SL) Tutti i diritti riservati.
Un pomeriggio buttato. Un pomeriggio carico di indignazione, rabbia e frustrazione. Adriana, ventisei anni, laureata in comunicazione audiovisiva, si recò all’appuntamento, quel pomeriggio dell’anno scorso, nel tentativo di trovare un lavoro part-time che le permettesse di arrotondare i quattrocento euro che già guadagnava dal suo precariato presso l’Università Complutense di Madrid. Quello che trovò, purtroppo, fu solo un colloquio di lavoro durante il quale subire l’ennesima e intollerabile vessazione. Una delle tante che è stata costretta a sopportare dal giorno in cui ha concluso i suoi studi per il semplice fatto di avere bisogno di un lavoro. Tuttavia, se anche volesse sporgere denuncia, in mano non avrebbe niente: “A quale articolo del Codice Penale potrei appellarmi? Come farei a dimostrare quanto accaduto in quell’ufficio?”. Sarebbe la sua parola contro quella dell’uomo che l’ha sottoposta ad un colloquio per un posto da impiegata presso una catena di fast-food madrilena di un marchio molto noto. Quello stesso uomo che, fin dalle prime battute del colloquio: “si è comportato in modo molto aggressivo, assumendo un tono di disprezzo, a volte volgare, rivolgendomi “domande indiscrete” e commentando il mio aspetto fisico”, dichiara Adriana. Perché portava i capelli così corti? Come mai le maniche del suo vestito erano fatte in quel modo?… Lo stesso uomo che, quando lei cercava di rispondergli, si alzava, le dava le spalle e le faceva capire, in vari modi, di non ascoltarla nemmeno. Lo stesso uomo che si informò sulla sua esperienza lavorativa e aspirazioni e che, sentendo la sua risposta, si permise di interromperla dicendole: “lei sta solo buttando il suo tempo”.
Indubbiamente, non siamo nella pièce Il metodo Grönholm del catalano Jordi Galcerán. In questa commedia, attualmente in scena, con enorme successo, a Barcellona e a Madrid, e che di recente è diventata anche un film, i candidati a un posto da dirigente presso una multinazionale sono sottoposti a umiliazioni ben più gravi, di quelle in grado di traumatizzare psicologicamente; tuttavia, la caricatura messa in scena nella commedia si basa su un fenomeno molto diffuso nella vita reale; fenomeno riconosciuto anche da numerosi psicologi del lavoro. Non tutti i selezionatori del personale approfittano della loro posizione di forza, ma coloro che lo fanno non sono pochi.
“Le pratiche vessatorie non sono molto frequenti; tuttavia, capita spesso di violare i diritti dei candidati, operando discriminazioni e non rispettando la loro privacy”, specifica Ricardo Blasco, professore di Psicologia Sociale presso l’Università di Barcellona ed esperto in materia. “Il problema è che nella maggior parte dei casi i selezionatori sono persone prive della formazione adeguata”. “Il colloquio collettivo, ad esempio, mi sembra un’assurdità”, aggiunge. “Per risparmiare tempo, vengono convocati numerosi candidati alla stessa ora. Li si obbliga a presentarsi, e a raccontare vita, studi e aspirazioni davanti a tutti gli altri. Poco tempo fa, ho saputo che era stata fatta una selezione di questo tipo per assumere agenti di sicurezza privata, e mi è sembrato inaccettabile”.
Un altro sopruso, esercitato di frequente soprattutto nei confronti delle donne giovani, consiste nel porre domande sullo stato civile. Federica, ventisei anni e laureata in legge, ha alle spalle una vasta esperienza di colloqui presso gli studi di qualche avvocato o per ottenere un posto da impiegata amministrativa. “Quasi sempre mi è stato chiesto se sono sposata o fidanzata, e se ho dei figli o voglio averne…”. Queste informazioni sono considerate dati sensibili poiché il selezionatore può ad esempio utilizzarle per discriminare le madri single, per il solo fatto di essere tali, senza tenere conto della loro professionalità.
Cosa si può fare di fronte a un comportamento del genere? “Quando vengono poste certe domande, logicamente il candidato può anche scegliere di non rispondere, ma il problema è: come sarà interpretato il suo silenzio?”, si chiede Ricardo Blasco. “Se una persona prova solo lontanamente a difendere i propri diritti, molto spesso questo atteggiamento difensivo viene interpretato come un comportamento conflittuale, e il selezionatore non la contatterà più”. Forse, la soluzione migliore è quella messa in atto dalla stessa Federica: “Io mento senza mezzi termini e senza problemi. Quando le domande si fanno capziose, le mie risposte diventano menzognere…”. Se la menzogna riguardasse il percorso di studi del candidato, un simile atteggiamento potrebbe causare il licenziamento, ma trattandosi della vita privata dell’individuo, no.
Annunci ingannevoli
Un altro sopruso da cui è molto più difficile proteggersi è quello degli annunci ingannevoli. L’esperienza di Adriana in proposito è illuminante: “Tempo fa, ho sostenuto un colloquio per un posto da operatrice di call-center. Nell’annuncio si diceva che la ditta cercava personale con conoscenza della lingua portoghese e francese. Io volevo guadagnare un po’ di soldi e, allo stesso tempo, mi piaceva l’idea di mettere in pratica le mie conoscenze linguistiche. Ho chiesto un giorno di permesso all’Università e mi sono recata alla selezione. Per tre ore ho aspettato che gli altri quaranta candidati raccontassero, a voce alta e davanti a tutti, la storia della loro vita, con tanto di percorso di studi e aspirazioni, poi, quando finalmente è toccato il mio turno e ho spiegato di essere interessata al posto da operatrice con conoscenza del portoghese, mi hanno risposto che non c’erano posti vacanti di questo tipo…”. Un’altra mattinata buttata e ancora rabbia e indignazione. Alla pari di coloro che si recano a colloqui non ingannevoli ma strutturati in modo talmente criptico da rendere impossibile capire per che tipo di lavoro, con quale orario e perfino l’ammontare dello stipendio.
Vuoto legislativo
Il fulcro della questione è che “l’ordinamento giuridico non prevede alcuna normativa in materia di selezione del personale. Tutto è lasciato nelle mani del mercato. Il diritto del lavoro non prevede alcun provvedimento specifico e le garanzie generali previste dall’ordinamento sono lontane anni luce dalla pratica e non contano nulla”, sottolinea Pedro Gete, professore di Diritto del lavoro presso l’Università Complutense di Madrid.
Come dimostrare, dunque, che durante un colloquio a porte chiuse, il selezionatore ha vessato il candidato? “È quasi impossibile dimostrarlo, perché di solito non resta alcuna prova scritta del colloquio e si tratta della parola di una persona contro quella dell’altra. Di conseguenza, quasi nessuno denuncia questi soprusi e la normativa non esiste”, afferma Jordi García Viña, anch’egli professore di Diritto del lavoro ma presso l’Università di Barcellona. “Tuttavia, negli Stati Uniti, dove il sistema giuridico è meno farraginoso, molti candidati hanno sporto denuncia. La conseguenza è stata la nascita di una giurisprudenza solida e, ancora oggi, i selezionatori sono molto prudenti nello svolgimento dei colloqui di assunzione”, spiega Ricardo Blasco.
“Una soluzione alternativa potrebbe essere quella di registrare i colloqui”, sottolinea Yolanda Valdeolivas, professoressa di Diritto presso l’Università Autonoma di Madrid, “o almeno pretendere che ai colloqui partecipino anche i rappresentanti sindacali dei lavoratori. Tuttavia, i candidati non sono un collettivo strutturato e di rado sono iscritti al sindacato. Ragion per cui nessuno mette in atto una rivendicazione, forte e convinta, dei propri diritti, anche se bisognerebbe insistere su questo punto”, dichiara, e coglie anche l’occasione per raccontare alcuni episodi di cui è venuta a conoscenza: “Mi hanno informato che, a volte, il candidato viene convocato, lo si lascia aspettare due ore e poi, quando chiede lumi su quanto sta succedendo e sulle ragioni di un simile ritardo, gli si risponde che può andare via. Il motivo di tutto ciò? Se è rimasto lì fermo per due ore prima di prendere l’iniziativa significa che è inadatto a quella professione…”.
Qual è il nostro limite di sopportazione?
“È GRASSA E TETTONA…”. “È MAROCCHINA E NON SA NEANCHE STRINGERE LA MANO”. “HA UNA VOCE STRIDULA, SEMBRA SCEMA”. Questi commenti su alcune candidate a un posto da commessa presso un supermercato sono stati annotati da un selezionatore e recuperati da un cestino della carta. Il commediografo Jordi Galcerán ne ha tratto ispirazione per scrivere Il metodo Grönholm. L’opera, rappresentata nella seconda metà della stagione a Madrid e a Barcellona, ha a sua volta ispirato il film, appena uscito, Il metodo, per la regia di Marcelo Piñeyro.
“Ho provato a immaginarmi queste ragazze che cercano in tutti i modi di fare una buona impressione, e di trasmettere un’immagine professionalmente corretta, tentando di fare quello che credono ci si aspetti da loro e disposte perfino a sopportare delle piccole umiliazioni pur di ottenere quel lavoro di cui hanno bisogno”, spiega Galcerán. “Ma il punto è: qual è il nostro limite di sopportazione? La mia pièce gioca proprio su questo aspetto, e costruisce una caricatura della vita reale. Attenzione però: la caricatura consiste nell’estremizzare al massimo quegli episodi che avvengono sul serio”, spiega l’autore durante una conversazione telefonica da Barcellona.
“È nell’interesse delle imprese verificare la professionalità dei candidati e controllare che la loro personalità, e ideologia, sia conforme alla filosofia dell’azienda”, spiega Galcerán, “Ma fino a che punto è lecito spingersi con questo tipo di verifiche? Io la risposta non ce l’ho, ma pongo la domanda. Non è un dramma, ma il problema esiste”.