Lo scrittore: una specie in via di estinzione
Traduzione a cura di Annamaria Martinolli
Il presente articolo è tratto dall’opera PEN Atlas: Ten Literary Dispatches from around the World, co-edited by Tasja Dorkofikis and Oliver Brock, with an introduction by Tasja Dorkofikis. L’autrice è Dubravka Ugrešić. La traduzione è a cura di Annamaria Martinolli.
Negli ultimi tempi non si fa che parlare del declino delle librerie indipendenti e delle una volta potenti catene del settore; anzi, delle librerie punto e basta. Tutti parlano della stretta sugli editori, dei redattori che restano disoccupati, della chiusura delle biblioteche, della morte delle riviste letterarie, e, assai di rado, dello sparuto gruppo di dottori in letteratura che non trova lavoro. I due principali punti di vista sull’argomento trovano molti portavoce: mentre i pessimisti attaccano furiosamente l’aggressiva “spazzatura” che inquina il nostro habitat culturale affamandolo di ossigeno, gli ottimisti difendono furiosamente le leggi del mercato letterario (e spesso si tratta delle stesse persone ben contente di accusare i Muppet di diffondere la propaganda anticapitalista). Ad ogni modo, in mezzo a tanto clamore nessuno – e dico davvero: proprio nessuno – parla degli scrittori. Questo significa che i produttori stessi (i lavoratori, ovvero gli scrittori) sono diventati elementi marginali della catena di produzione. Così, il mondo librario contemporaneo finisce per ricordare quel vecchio film di Robert Altman, I protagonisti: un magnate di Hollywood senza scrupoli uccide uno sceneggiatore restando impunito, sposa la di lui ragazza e poi dichiara con cinismo che nel mondo del cinema gli scrittori sono solo di intralcio. Per quanto mi riguarda, confermo di non aver mai incontrato tanti colleghi convertitisi in guidatori di taxi come mi è successo negli ultimi anni.
Dal punto di vista storico, gli scrittori sono sempre rientrati nella categoria “fragile” materiale umano, ma a volte resistono – sopravvivendo a epoche ostili, ai regni dei re, degli zar, dei dittatori, alle stagioni dei libri bruciati e della censura –. Oggi, per esempio, alcuni guadagnano cifre spropositate e finiscono sulla lista di Forbes dei più ricchi “fornitori di contenuti”. Altri girano il mondo neanche fossero membri di una famiglia reale, circondati dai club dei loro devoti sudditi. Attualmente la professione di scrittore è comunque ambita e redditizia; molti paesi erigono statue pubbliche in onore dei loro autori, e il bizzarro scrittore entra a far parte del pacchetto turistico, come Joyce in Irlanda, Proust in Francia, J.K. Rowling a Edimburgo.
Ma le rose sbocciano solo per breve tempo. In quanto appartenente a una particolare sottospecie umana, la maggior parte degli scrittori sono a rischio di estinzione. Lascio giudicare agli esperti se questi singoli individui vanno a ricadere nel gruppo “in pericolo critico” come gli oranghi di Sumatra, in quello “in pericolo” come le tigri della Malesia, in quello “vulnerabile” come gli elefanti africani, in quello “quasi minacciato” come il giaguaro, o in quello “minor preoccupazione” come la giraffa.
D’altra parte, osservando il progressivo miglioramento delle condizioni degli animali dello zoo di Zagabria negli ultimi vent’anni, mi sembra che per gli scrittori ci sia una speranza. Da quando un gruppetto di cittadini croati si è arricchito in fretta e i servizi pubblici sono peggiorati altrettanto in fretta, la fortuna degli animali dello zoo è andata incrementando. I ricchi croati si sono fatti personalmente carico della protezione degli animali; così, il proprietario di un rinomato ristorante di Zagabria dà da mangiare alla tigre; un noto criminale di guerra si occupa del tapiro e un magnate ha preso il coccodrillo sotto la sua ala protettiva. I ricchi croati si divertono all’infinito a intavolare conversazioni del tipo: “Come sta la tua ostrica?” “Bene, grazie, il mese scorso le abbiamo curato il mal di gola. E il tuo tapiro?” “Ci ho rinunciato. Ora mi occupo dell’ippopotamo. Il tapiro se l’è preso quel noto giocatore di pallacanestro… Per qualche ragione, gli si addice di più”.
Ovviamente, non sto suggerendo che gli scrittori in via di estinzione debbano finire negli zoo. Ma non vedo il problema se li mettessimo in qualche resort di lusso, parco a tema o villaggio turistico apposta per loro. Dopotutto, questi villaggi, con quei romantici piccoli cottage in legno, esistevano già ai tempi dell’Unione Sovietica.
E visto che ho tirato fuori l’argomento, ci tengo a sottolineare che i russi hanno sempre dimostrato un rispetto per la letteratura di molto superiore a quello manifestato da tutti gli altri paesi del mondo. A conti fatti, nessuno, per paura della parola – ovvero, rispetto della parola – ha ucciso più scrittori dei russi. Ecco perché è comprensibile che un oligarca russo si sia comprato Waterstones, la più grande catena britannica di librerie, un altro l’Independent e un terzo abbia messo su una fondazione per la traduzione in lingua straniera delle opere degli scrittori russi (è lo stesso tipo che anni fa ha sborsato un milione di sterline per ingaggiare Amy Winehouse per una sera). Incoraggiati da esempi del genere, forse Madonna potrebbe offrire di corsa protezione a vita a un potenziale Nobel per la letteratura africano, o Bill Gates spendere il resto dei suoi giorni a promuovere la letteratura malese.
La situazione non è poi così cupa, basta un po’ di immaginazione. Non so proprio perché sto qui a preoccuparmi per gli scrittori. Scrivere è ancora oggi un mestiere a netta predominanza maschile. È dimostrato che gli scrittori non leggono mai, o quasi mai, le opere delle loro colleghe scrittrici. L’ipotesi secondo la quale per me le cose andrebbero meglio se fossi la guardiana dello zoo dei miei colleghi è sbagliata: per loro, per i miei colleghi, le cose saranno sempre migliori. Quindi di cosa mi preoccupo? In un oceano di disperazione generale, è come preoccuparsi dell’ultima colonia europea di lebbrosi sulla sponda rumena del Danubio. Non lo so, dev’essere perché me la cavo bene. Ho preso la licenza di tassista.
Informazioni aggiuntive
Dubravka Ugrešić (Zagabria 1949) è una scrittrice croata, naturalizzata olandese, nota per la sua implacabile ironia. Negli anni Novanta ha abbandonato il suo paese perché l’impegno contro il nazionalismo e la guerra l’aveva resa oggetto di persecuzione. Vive tra Olanda e Stati Uniti e ha vinto numerosi premi letterari. In Italia ha pubblicato Il museo della resa incondizionata (2002), Vietato leggere (2005), Il ministero del dolore (2007), Baba Jaga ha fatto l’uovo (2011), Cultura Karaoke (2014), Europa in seppia (2016).