Romanzo giallo o romanzo picaresco?
Traduction de Annamaria Martinolli
Il presente saggio breve è tratto da Actas del I Congreso Ibero-asiático de Hispanistas Siglo de Oro e Hispanismo general (Delhi, 9-12 de noviembre, 2010), ed. Vibha Maurya y Mariela Insúa, Pamplona, Publicaciones digitales del GRISO/Servicio de Publicaciones de la Universidad de Navarra, 2011, pp. 659-670. L’autrice è la Dottoressa Vijaya Venkataraman. La traduzione è a cura di Annamaria Martinolli.
Introduzione:
Uno dei romanzi che segnò una svolta nella narrativa spagnola post-franchista fu La verità sul caso Savolta dello scrittore barcellonese Eduardo Mendoza. Pubblicato nel 1975, pochi mesi prima della morte di Francisco Franco, il romanzo incorpora, sotto forma di collage, una serie di elementi appartenenti a diversi generi letterari, come il romanzo giallo e il romanzo storico. Inoltre, lo scrittore ricorre intenzionalmente all’utilizzo dell’umorismo e dell’ironia per offrire una visione critica della società contemporanea. Tutti i romanzi successivi di Eduardo Mendoza si contraddistinguono per la medesima decostruzione di generi codificati attraverso la parodia che implica un distacco critico e ironico e che, allo stesso tempo, si rivolge a un lettore complice in grado di decodificare i codici intertestuali proposti.
Lo scopo che qui mi propongo è quello di analizzare l’opera di Eduardo Mendoza – nello specifico, i suoi romanzi gialli – e l’utilizzo della parodia che in essa viene fatto. Mi focalizzerò sulla trilogia mendociana formata dal Mistero della cripta stregata (1979), Il labirinto delle olive (1982) e Il tempio delle signore (2001).
Il genere giallo, quasi inesistente in Spagna durante il periodo della dittatura, vive una rinascita nell’epoca della transizione. Negli anni Ottanta, nutrendosi dei romanzi gialli di provenienza americana, questo genere letterario va a inserirsi in spazi e tempi concreti e risponde alla crisi del sistema sociale e ai profondi cambiamenti che la società spagnola stava sperimentando in quel periodo con un atteggiamento di critica e protesta. José F. Colmeiro spiega le ragioni di questa rinascita nel modo seguente:
La prolungata crisi economica, la disoccupazione, la tossicodipendenza e la criminalità, già in uno stato cronico, hanno stimolato, fungendo anche da sfondo, la creazione di una serie gialla autoctona, adeguata alle problematiche contemporanee del paese, che esplora i conflitti e le contraddizioni di un’epoca segnata dai cambiamenti e dalla confusione[1].
Tornando alla trilogia di Eduardo Mendoza, si nota che il personaggio principale è un detective atipico – un essere anonimo ed emarginato, appena uscito dal manicomio, senza famiglia, casa o risorse economiche – a cui la polizia chiede aiuto. In cambio, gli offrono la dimissione dal manicomio all’interno del quale, all’inizio del primo romanzo, ha trascorso cinque anni; mentre nell’ultimo romanzo, quando esce definitivamente, ha passato ben sedici anni all’interno della struttura. Quest’uomo furbo, con scarsa istruzione e limitate capacità intellettive, riesce a risolvere con successo i misteri narrati nei primi due romanzi ma viene ingannato dalla polizia che torna a rinchiuderlo in manicomio. Solo nel terzo volume della serie riesce a farsi dimettere definitivamente per poi iniziare a lavorare come parrucchiere. A questo punto, lo ritroviamo nuovamente coinvolto, suo malgrado, in una serie di misteriosi avvenimenti che si concludono con un omicidio; poiché egli stesso è sospettato di esserne l’autore, decide di risolvere il mistero per dimostrare la sua innocenza. A prima vista, risulta evidente la preminenza di elementi appartenenti sia ai romanzi gialli che ai grandi classici della letteratura spagnola – in particolare, il romanzo picaresco e quello cervantino. Infatti, sia a livello discorsivo che narrativo dominano gli elementi più facilmente riconoscibili di questi stili letterari. Attraverso l’analisi di questi ultimi, mi pongo l’obiettivo di dimostrare che la loro parodia, nei romanzi di Eduardo Mendoza, si manifesta a livello strutturale allo scopo di dare spazio a intenti satirici il cui bersaglio è la società spagnola post-franchista dell’epoca della cosiddetta transizione.
In questo contesto, applicherò alla trilogia mendociana la teoria della parodia elaborata da Linda Hutcheon[2] con l’obiettivo di dimostrare come, nei tre romanzi succitati, il parodistico sul piano letterario e il satirico sul piano sociale interagiscano allo scopo di “creare un parallelismo tra l’età contemporanea e il passato, conferendo grande forza alla critica politica del presente”[3]. In effetti, vedremo che l’ironia parodistica e satirica nelle opere di Eduardo Mendoza rafforza la critica della società spagnola a livello politico, morale e sociale dagli anni della transizione agli inizi del ventunesimo secolo.
La parodia, secondo Linda Hutcheon, è una forma di ripetizione con un distacco ironico e critico che, anziché evidenziare le somiglianze, mette in risalto le differenze[4]. La satira, invece, si focalizza sul morale e sul sociale e ha propositi di miglioramento. Questo non significa che la parodia non comporti implicazioni sociali e ideologiche. Come afferma la studiosa, la parodia può essere utilizzata per satireggiare la ricezione, o la creazione, di certe forme d’arte[5]. Inoltre, essa ricorre all’“intertestualità come modalità, attraverso un processo modellatore integrato e strutturato, per rivisitare, ripetere, invertire e transcontestualizzare opere d’arte di periodi precedenti. Sia la parodia che la satira si avvalgono dell’ironia come strategia retorica”[6]. La critica afferma anche che: “Il piacere dell’ironia contenuta nella parodia non deriva specificatamente dall’umorismo ma dal coinvolgimento del lettore nel rimpallo intertestuale tra la complicità e il distacco”[7]. L’ironia è fondamentale perché la parodia e la satira abbiano successo, ma non necessariamente allo stesso modo. Un altro degli aspetti che distingue parodia e satira riguarda la natura dei rispettivi bersagli – la parodia mira a un bersaglio interno, la satira a un bersaglio extramurale[8] – . In sostanza, Linda Hutcheon sostiene che la parodia opera a livello testuale, la satira a livello pragmatico e l’ironia a livello semantico.
Ora vedremo come si comportano questi elementi all’interno della trilogia di Eduardo Mendoza.
La parodia del romanzo giallo:
I tre romanzi dell’autore appartengono a tutti gli effetti al genere del romanzo giallo poiché contengono i classici elementi a esso associati: mistero, enigma, avventura, ricerca progressiva, da parte del detective, di una soluzione al caso. Allo stesso tempo, alla pari dei romanzi hard boiled di provenienza americana, contengono una critica dura in ambito morale e sociale. Tuttavia, come direbbe la studiosa Linda Hutcheon, la parodia consiste nel fatto che la ripetizione del modello è accompagnata da un distacco ironico e critico il cui scopo è evidenziare le differenze. Questo distacco si riflette sui tre romanzi nel modo seguente: innanzitutto, il detective protagonista non è né un fanatico né un superdotato, come nei gialli classici, né un uomo solitario e cinico che sceglie di restare ai margini della società, come nei neo-polar o nei gialli americani. Nella trilogia di Mendoza il detective è un antieroe mezzo matto che possiede allo stesso tempo le caratteristiche di Don Chisciotte e Sancho Panza.
Nel primo romanzo, Il mistero della cripta stregata, l’ispettore Flores lo tira fuori dal manicomio al solo scopo di farsi aiutare nella risoluzione di un caso. Scelgono lui perché la polizia ha bisogno di “una persona che conosca bene gli ambienti meno grati della nostra società, il cui nome si possa insudiciare senza pregiudizio per nessuno, capace di realizzare per noi il lavoro, e della quale, giunto il momento, possiamo sbarazzarci senza problemi”[9]. Anche se la prima reazione del personaggio è gioiosa, in seguito “non tardarono a sopravvenirmi ogni genere di timori, dato che non avevo amici, denaro, alloggio né altri indumenti che quelli che indossavo, una sudicissima e logora tenuta ospedaliera, mentre avevo una missione da compiere che presentivo irta di pericoli e fatiche”[10]. Il caso riguarda la sparizione di una quattordicenne da un collegio gestito dalle suore ed è collegato a un’altra sparizione avvenuta sei anni prima. Il padre della ragazza sembra essere il capo di un’organizzazione criminale che si occupa di attività illegali; entrando nel mondo dello spaccio di droga il protagonista riesce a risolvere il caso.
Nel Labirinto delle olive, il detective/narratore viene rapito dal giardino del manicomio affinché sia nuovamente d’aiuto nella risoluzione di un caso: deve portare a Madrid il denaro che serve a pagare un riscatto. All’hotel di Madrid il denaro gli viene rubato e così, nel tentativo di recuperare la somma perduta, finisce coinvolto in una serie di guai.
Nel Tempio delle signore, il detective esce dal manicomio, riceve l’incarico di rubare alcuni documenti e si ritrova invischiato in un omicidio finendo tra i principali sospettati; questo lo indurrà a cercare di risolvere il mistero.
Come si può notare, questo detective paranoico non si pone come obiettivo la difesa o il ripristino dell’ordine sociale, né le sue azioni sono motivate da un codice etico o morale superiore. Come ammette egli stesso “farei appello all’amore della verità e della giustizia e ad altri valori assoluti se questi fossero la mia bussola, ma non so mentire quando si tratta di princìpi. Se ne fossi capace, non sarei una scoria come sono stato per tutta la vita”[11]. Allo stesso tempo, il detective, a causa della sua goffaggine e sfortuna, diventa sempre un sospettato – di omicidio o di furto – e finisce per essere ricercato sia dalla polizia che dai criminali. Inoltre, egli è poco portato a compiere i medesimi ragionamenti cervellotici che fa abitualmente un normale detective. In una sorta di autopresentazione è proprio lui a spiegare la sua condizione:
Non ha nulla da temere da me. Sono un ex delinquente, libero solo da ieri. La polizia mi cerca per chiudermi di nuovo in manicomio, perché credono che sia coinvolto nella morte di uomo o forse di due, secondo che quelli del mitra abbiano colpito o meno il giardiniere. Sono anche implicato in affari di droga: cocaina, anfetamine e acidi. E la mia povera sorella, che fa la puttana, è in prigione per colpa mia. Vede in quale drammatico frangente mi trovi. Ripeto che non ha nulla da temere: non sono un pazzo come pretendono, né sono un criminale. È vero che puzzo un po’ di sudore e di vino e di spazzatura, ma tutto questo ha una spiegazione molto semplice.[12]
In secondo luogo, non è solo la struttura del genere giallo a essere sovvertita e parodiata, ma anche la logica deduttiva su cui si basa il romanzo giallo, alla quale, come afferma Colmeiro, si oppone: “la natura confusa e inesplicabile della realtà, profondamente illogica, assurda e caotica, costituita da una rete di assurde motivazioni e oscure relazioni causa-effetto”[13]. Infatti, il lettore che cercasse di leggere questi romanzi con le medesime aspettative di quando si affronta un classico romanzo giallo rischierebbe di provare una frustrazione costante, poiché non c’è alcuna logica che spieghi le deduzioni del protagonista; all’opposto, egli si fa burla della logica deduttiva che diventa oggetto di ironia e parodia. Come dichiara egli stesso nel Mistero della cripta stregata:
Facendo uno sforzo supremo, tentai di mettere in ordine le mie idee: la prima cosa da accertare era l’identità dei visitatori, senza il che sarebbe stato impossibile chiarire i motivi della loro comparsa, per cui dovevo guardarli in faccia, dato che per semplice deduzione non sarei mai riuscito a sapere di chi si trattava.[14]
L’uso dell’ironia con effetti comici è un espediente costante in questi romanzi. A volte, come nel caso appena esposto, serve per demistificare il ragionamento e la logica del detective superdotato. Altre, serve per sovvertire le soluzioni ideali a cui sembrano ricondurre tutti i fili della trama e che determinano il chiarimento degli enigmi. Ad esempio, i testi abbondano di strategie “intelligenti”, adottate con destrezza dai detective classici, che però, in questo contesto, portano a risultati inaspettati. Nel Tempio delle signore, quando il protagonista va a rubare i documenti, viene ideato un piano per cui è necessario sincronizzare gli orologi. Il risultato di una simile azione è questo:
“È mezzanotte e ventitré”, proseguì il tizio mascherato. “Ha a sua disposizione venticinque minuti per portare a termine il lavoretto. Impiegare più tempo sarebbe rischioso, per non dire un lusso. Ventitré più venticinque fa quarantotto. A quest’ora precisa, vale a dire a mezzanotte e quarantotto minuti in punto, l’aspetteremo qui, nello stesso posto. Sincronizziamo gli orologi”. Tale operazione ci portò via parecchio tempo perché bisognava adattare tutti gli orologi, compreso quello dell’automobile, ai capricci del mio, che un nero con la barba lunga mi aveva venduto per cinquanta pesetas su una banchina della metropolitana e che non possedeva la virtù della regolarità”.[15]
È ironico anche il continuo mancato soddisfacimento delle aspettative del lettore, non solo per quanto riguarda il possibile sviluppo degli avvenimenti, ma anche – ed è questo l’elemento spiazzante – nello sviluppo della narrazione.
Il finale dei romanzi ci rivela la soluzione del mistero; però gli elementi che restano in sospeso sono tanti. Il protagonista è ricercato dalla polizia per presunti crimini non commessi e torna in manicomio. Il capitano Flores, alla fine del Mistero della cripta stregata, si rivolge al protagonista con queste parole:
Sei appena uscito da un manicomio e ricercato per quanto andrò enumerando: occultamento di cadavere, resistenza alla forza pubblica, aggressione alla suddetta, possesso e spaccio di sostanze stupefacenti, furto, distruzione di proprietà altrui, sostituzione d’identità, abuso di minorenne e profanazione di tombe.[16]
Il detective gli risponde di aver fatto solo il suo dovere e, a quel punto, preferisce scegliere nuovamente la strada del manicomio piuttosto che ottenere una libertà che lo condurrebbe in carcere. Nel Labirinto delle olive, invece, il protagonista afferma quanto segue:
Giurai che se mai un giorno avessi riottenuto la libertà, per prima cosa avrei cercato di fare chiarezza su problemi irrisolti e lati oscuri come quelli che restano sempre nei misteri che risolvo. E tuttavia, per quanto sopra affermato, non potei non chiedermi come avrei fatto ad affrontare il futuro con fiducia e rettitudine se il passato era una matassa inframmezzata di crepe e ombre, tanto per usare una similitudine, e il presente un’incognita in cui sperare ben poco, come il corrucciato silenzio del capitano Flores mi lasciava intendere.[17]
La parodia del romanzo picaresco:
Uno degli elementi di chiara appartenenza picaresca, che risulta subito evidente, è la narrazione in prima persona della propria storia da parte del protagonista emarginato, il quale non rispecchia solo la decadenza della società ma emette anche giudizi morali a essa riferiti. Mario Miguel Gonzáles definisce il modello picaresco a partire da un nucleo che potrebbe essere interpretato come un intertesto:
Tale intertesto è la pseudo-autobiografia di un antieroe considerato socialmente emarginato; la narrazione è la sintesi critica del processo di tentativo di ascensione sociale del protagonista mediante l’inganno e l’avventura; e attraverso di essa si profila una satira della società contemporanea del picaro.[18]
In primo luogo, ci troviamo di fronte alla narrazione in prima persona dei casi risolti da questo personaggio irregolare, socialmente inesistente, con istruzione carente e in stato di emarginazione. Di fatto, il suo unico desiderio di ascesa sociale si riflette nel desiderio di uscire dal manicomio. Il detective antieroico e picaro si presenta così:
Sono, in effetti, o fui, piuttosto, e non in forma alternata bensì cumulativamente, un pazzo, un pervertito, un delinquente e una persona di istruzione e cultura deficienti, poiché non ebbi altra scuola che la strada né altro maestro che le cattive compagnie di cui seppi circondarmi, ma non ebbi mai, né ho tuttora, alcuna sfumatura di stupidità […] il mio istinto di conservazione è troppo acuto, il mio attaccamento alla vita troppo saldo, la mia esperienza troppo amara in questi duelli.[19]
Come Lazarillo de Tormes, Guzmán de Alfarache o il Pablos di Francisco de Quevedo, il protagonista lascia la famiglia da piccolo cercando di guadagnarsi da vivere come può. Abbandonati dai genitori – il padre scompare con i pochi risparmi disponibili e la madre finisce in carcere – lui e la sorella sono costretti a imparare a cavarsela in tenerissima età.
Nel Labirinto delle olive egli spiega le ragioni che lo spingono ad accettare l’incarico affidatogli dalla polizia malgrado le condizioni da sequestro della proposta:
Credo di aver messo bene in chiaro che non desideravo affatto passare il resto dei miei giorni chiuso in un manicomio, né era da sperare, visti i miei precedenti, i beni materiali di cui disponevo e i rapporti sociali instaurati, che qualcuno, per qualsivoglia ragione, si preoccupasse di rimediare a un simile stato di cose. Di conseguenza, non ero disposto a gettare via l’occasione di farmi valere agli occhi di chi, ipoteticamente, aveva il potere di spostare le montagne.[20]
Nel terzo romanzo della serie, Il tempio delle signore, il protagonista parla della contraffazione della propria identità:
Del resto, se con la mia risposta non avevo detto la verità vera, non l’avevo neppure rinnegata, perché nel caos degli ultimi anni non avevo avuto il tempo di richiedere la carta d’identità né di regolarizzare la mia situazione anagrafica. Infatti, quando venni al mondo, mio padre o mia madre o chiunque mi ci avesse portato non si era preso la briga di registrarmi in comune, per cui l’unica conferma della mia esistenza era quella che davo io di volta in volta, con maggiore costanza che successo, mediante le mie azioni.[21]
Nei ricordi infantili del narratore-protagonista la povertà è come un’ombra incancellabile che perseguita tutta la famiglia: il padre non riesce a trovare lavoro malgrado abbia cantato, per otto ore filate, l’inno del partito nazionalista Cara al Sol davanti alla porta dell’Intendenza alle Opere; la madre pulisce, ripara e rivende i profilattici che il protagonista e la cugina raccolgono con un retino per farfalle accanto al fiume. Curiosamente, il narratore fa un “commento” sulla necessità e il valore della povertà: “[…] Se tutti fossimo benestanti e non dovessimo sgobbare per guadagnarci da vivere, non ci sarebbero né calciatori né toreri né cantanti di couplet né puttane né ladruncoli e la vita sarebbe ben triste e questo pianeta sarebbe una valle di lacrime”[22].
Un altro aspetto che richiama l’attenzione è il linguaggio utilizzato dal protagonista. Il suo modo di esprimersi non rispecchia in alcun modo una carenza d’istruzione o una deficienza di cultura. All’opposto, alcuni critici come Colmeiro hanno evidenziato “l’esagerata stilizzazione del linguaggio”:
Il complesso e accurato discorso autobiografico dell’innominato protagonista risulta scioccante nel suo appartenere a un personaggio emarginato, senza istruzione, che compie ragionamenti logici anomali rispetto alle norme sociali, ma pienamente consapevole delle proprie aspirazioni (ritrovare la libertà perduta e salvarsi a ogni costo la pelle) e dei propri limiti, […] che si appropria dei codici linguistici estranei più adatti all’occasione e all’interlocutore. Nel tentativo di superare e compensare la sua condizione emarginata e illetterata, lo schizofrenico narratore-protagonista, pienamente consapevole dell’immenso potete del linguaggio, si appropria del linguaggio aulico classico per narrare il racconto autobiografico delle sue avventure, che vuole essere una spiegazione del suo “caso”, una dimostrazione del suo buonsenso di fronte alla società.[23]
Il detective antieroico, alla pari del picaro, si adatta alle circostanze senza cercare in alcun modo di cambiarle, non a causa del suo cinismo ma perché è consapevole che si tratta di un’impresa inutile e impossibile. L’unica sua pretesa è trovare per se stesso una collocazione nella società. Se il picaro si contrapponeva all’eroe cavalleresco demistificandolo, qui ci troviamo di fronte a un personaggio antieroico che si contrappone al detective intellettuale in grado di uscire vincitore dalle situazioni pericolose. Lo stesso autore ha dichiarato in un’intervista che il romanzo giallo spagnolo nacque solo dopo la scoperta del modello picaresco perché “nessuno prenderebbe mai sul serio un investigatore spagnolo”. Come egli stesso ha affermato: “Solo quando si scoprì la possibilità di un eroe autenticamente spagnolo e credibile, come un Lazarillo de Tormes o un Guzmán de Alfarache, il romanzo giallo spagnolo vide la luce con i suoi protagonisti che sono tutti autentici pezzenti o derelitti”[24].
La critica/satira della società contemporanea:
Come spiegato in precedenza, la satira serve per mirare a un bersaglio extramurale che, nel caso specifico, è la società spagnola in tutte le sue sfaccettature.
La trama del Mistero della cripta stregata si svolge nel 1977, in una Barcellona contestualizzata nel suo momento storico, e illustra la Spagna postfranchista con elementi sostanzialmente parodistici o burleschi. L’opera, tuttavia, non è solo un interessante ritratto di come si viveva in quell’epoca specifica a Barcellona, ma anche una visione ironica delle classi dell’alta società e di coloro che, appartenendo alla classe media, aspirano alla scalata sociale, o almeno mirano a dimostrare di essere ciò che non sono. Ragion per cui, il contesto storico del romanzo – che non ha, ovviamente, pretese di narrazione storica – colloca i personaggi in uno spazio-tempo molto ben definito e non solleva alcun tipo di dubbio in merito.
Allo stesso modo, nel Labirinto delle olive le disavventure investigative del protagonista lo portano a scoprire la corruzione che si cela all’interno di una multinazionale che opera nel settore delle olive. Tuttavia, si tratta di pura e semplice speculazione poiché la corruzione non è altro che una subornazione per una questione di terreni.
In tutti i romanzi della trilogia vengono rappresentate le zone più degradate di Barcellona: le descrizioni crude trasmettono un’idea di fervore, caos, tumulto e bruttura che rispecchiano l’agitazione e i tumulti dell’epoca della transizione.
Di fatto, Eduardo Mendoza commenta ogni singolo aspetto della società contemporanea: critica la politica, la corruzione e la mancanza di etica dei politici, ma non si limita a colpire Franco e il franchismo ma fa anche commenti ironici sui mali della democrazia; esprime un giudizio sui rapporti sociali e familiari, sulla disoccupazione o la prostituzione; sull’esclusione sociale che colpisce sia i disadattati che gli immigranti; sul consumismo che altera i rapporti umani; sulla speculazione sui terreni e altri problemi del mondo di oggi.
Conclusione:
Per quanto sopra esposto, si può sostenere che la trilogia di Eduardo Mendoza propone una parodia, a livello strutturale, sia del romanzo giallo che del romanzo picaresco. La fusione dei due stili, nell’ambito della quale gioca un ruolo dominante l’umorismo e l’ironia, dà origine a un genere ibrido in cui sono facilmente riconoscibili le convenzioni tipiche dei generi giallo e picaresco; tuttavia, queste convenzioni vengono spesso trasgredite e frammentate per creare un nuovo tipo di romanzo che attira la nostra attenzione sui limiti dei generi parodiati. L’ammirazione che l’autore nutre nei confronti dei romanzi cavallereschi o picareschi, e verso Miguel de Cervantes, si riflette attraverso il dialogo intertestuale con la tradizione. Si potrebbe concludere dicendo che Eduardo Mendoza utilizza il linguaggio dominante associandolo alle strategie ironiche (a cui fa riferimento Linda Hutcheon[25]) dell’esagerazione, dell’attenuazione o della letteralizzazione con cui la parodia assume un forte potenziale sovversivo.
Informazioni aggiuntive
Nota al testo: I frammenti citati tratti dai volumi Il mistero della cripta stregata e Il tempio delle signore sono riportati nelle traduzioni ufficiali realizzate per Feltrinelli rispettivamente da Gianni Guadalupi e Michela Finassi Parolo. I frammenti del volume Il labirinto delle olive (tradotto in lingua sarda dall’associazione Papiros, ma non in italiano) sono invece riportati nella mia traduzione. Negli ultimi anni Eduardo Mendoza ha pubblicato altri due romanzi aventi per protagonista il detective atipico; il primo è El enredo de la bolsa y la vida, tradotto sempre da Feltrinelli con il titolo O la borsa o la vita; il secondo è El secreto de la modelo extraviada, non ancora tradotto in Italia. Note: [1] Colmeiro, 2005, p. 30. [2] Hutcheon, 1985. [3] Hutcheon, 1985, p. 80. [4] Hutcheon, 1985, p. 12. [5] Hutcheon, 1985, p. 16. [6] Hutcheon, 1985, p. 25. [7] Hutcheon, 1985, p. 32. [8] Hutcheon, 1985, p. 54. [9] Mendoza, El misterio de la cripta embrujada, pp. 35-36. [10] Mendoza, El misterio de la cripta embrujada, p. 38. [11] Mendoza, El misterio de la cripta embrujada, p. 113. [12] Mendoza, El misterio de la cripta embrujada, p. 92. [13] Colmeiro, 2005, p. 208. [14] Mendoza, El misterio de la cripta embrujada, p. 16. [15] Mendoza, La aventura del tocador de señoras, p. 57. [16] Mendoza, El misterio de la cripta embrujada, p. 200. [17] Mendoza, El laberinto de las aceitunas, p. 312. [18] González, 1983, pp. 638-639. [19] Mendoza, El misterio de la cripta embrujada, p. 22. [20] Mendoza, El laberinto de las aceitunas, p. 39. [21] Mendoza, La aventura del tocador de señoras, pp. 38-39. [22] Mendoza, El laberinto de las aceitunas, p. 217. [23] Colmeiro, «Eduardo Mendoza y los laberintos de la realidad», Romance Languages Annual 1 (1989): 409-12. [24] Eduardo Mendoza, Entrevista, 1987. [25] O’Grady, 1997. Bibliografia: Colmeiro, J. F., «Posmodernidad, posfranquismo y novela policíaca», España Contemporánea, 5, 1992, pp. 27-39. — Memoria histórica e identidad cultural: de la postguerra a la postmodernidad, Barcelona, Anthropos, 2005. — «Eduardo Mendoza y los laberintos de la realidad», Romance Languages Annual 1 (1989): 409-12. González, M. M., «Picaresca ¿historia o discurso? (Para una aproximación al pícaro en la literatura brasileña)», en Actas del VIII Congreso de la Asociación Internacional de Hispanistas, Madrid, Istmo, 1986, pp. 637-643. Hutcheon, L., A Theory of Parody. The Teachings of Twentieth-CenturyArt Forms, Urbana y Chicago, University of Illinois Press, 2000. Mendoza, E., El misterio de la cripta embrujada, Barcelona, Seix Barral, 1979. — El laberinto de las aceitunas, Barcelona, Seix Barral, 1982. — La aventura del tocador de las señoras, Barcelona, Seix Barral 2001. — Entrevista, Declaraciones recogidas por José F. Colmeiro, Barcelona, 15 de junio, 1987. O’Grady, K., «A Conversation with Linda Hutcheon», 1997, en http://www.feministezine.com/feminist/postfeminism/Theorizing-Feminism-and-ostmodernity.html