Il cinema nei dipinti di Edward Hopper (III): New York Movie
Traduction de Annamaria Martinolli
Il presente testo è tratto dal saggio pubblicato sul Boletín de Arte (N.° 20), e023, septiembre 2020, ISSN 2314-2502. Facultad de Artes, Universidad Nacional de La Plata. La Plata, Buenos Aires, Argentina. L’autrice è Viola Rühse. La traduzione è a cura di Annamaria Martinolli.
New York Movie del 1939 è un altro importante dipinto nell’opera di Edward Hopper ambientato in un cinema. A differenza di The Sheridan Theatre, l’impiegata non si limita a essere un personaggio secondario, ma anzi è quello principale. La maschera – collocata nella metà destra dell’immagine – si appoggia assorta al muro della sala nel corridoio. L’interno del cinema si ispira al Palace Theatre di Times Square, anche se Hopper ha integrato elementi di altri cinema. La maschera indossa un’uniforme con pantaloni tipica dell’epoca. Sorregge la testa con una mano, richiamando il caratteristico gestus melancholicus. Nella metà sinistra del dipinto, si possono notare alcuni spettatori di spalle davanti a uno schermo cinematografico che proietta una scena di montagna. Due barriere parallele fungono da evidente blocco visivo tra l’area riservata al pubblico e quella in cui si trova la maschera.
La maschera, con la sua aria triste, decostruisce anche l’immagine glamour del suo lavoro, supportata da film come Le vie della fortuna la cui protagonista era proprio la maschera di un cinema. La routine quotidiana delle maschere era però dura, con lunghi orari di lavoro e bassi guadagni; le lavoratrici provenivano soprattutto dalla classe operaia. Negli anni Trenta, i loro stipendi furono ridotti: ora non si dedicavano tanto ad assistere i visitatori quanto a controllarli. Di conseguenza, risulta evidente che nel dipinto di Hopper la maschera è appoggiata al muro perché deve sorvegliare la sala cinematografica. Le maschere non erano autorizzate a guardare il film durante l’orario di lavoro. Nel dipinto di Hopper, lo sguardo della maschera, malinconicamente rivolto verso l’interno, può quindi attirare l’attenzione sul lavoro di controllo solitario e inappagante delle giovani impiegate del cinema. Allude anche al fatto che dietro all’idea di cinema come luogo di desiderio c’è un’organizzazione commerciale economicamente attiva nell’industria dell’intrattenimento.
Hopper ritrae la maschera con una corporatura elegante e snella e i capelli biondi ben pettinati. Le maschere erano molto attraenti anche nella realtà, dato che per questo lavoro venivano scelte soprattutto donne giovani di bell’aspetto. Di conseguenza, non erano solo i film a fungere da mediatori del desiderio e della fantasia, ma anche le maschere. Il loro compito era anche quello di invogliare gli spettatori a recarsi al cinema sempre più spesso per consumare film. Riprendendo i temi del desiderio e delle semplici impiegate dei locali dediti all’intrattenimento urbano, Hopper crea una versione moderna del Bar delle Folie-Bergères (1882) di Édouard Manet. Nell’opera di Manet, secondo T. J. Clark, la raffigurazione della barista esprime l’alienazione sociale.
The Sheridan Theatre, The Circle Theatre e New York Movie sottolineano come Hopper non si limiti a riprendere il tema della solitudine con semplici varianti, ma come in ognuno di questi quadri egli faccia anche riferimento, con sguardo critico, a inquietudini attuali.
I dipinti analizzati dimostrano la preoccupazione di Edward Hopper per la vita nelle grandi città, la sua passione per il cinema e l’attenzione che rivolge alla mutata esperienza cinematografica degli anni Trenta. Quest’ultimo elemento diventa molto evidente nel dipinto The Sheridan Theatre, che può essere interpretato come un omaggio nostalgico ai palazzi del cinema degli anni Venti, con sfumature malinconiche dovute al mutamento della cultura cinematografica.