Chesil Beach: Si può tradire Shakespeare, non Ian McEwan
Traduction de Annamaria Martinolli
Il presente articolo è tratto dal quotidiano El País, 02 luglio 2018. L’autore è Gregorio Belinchón. La traduzione è a cura di Annamaria Martinolli.
L’autorevole regista teatrale britannico Dominic Cooke debutta al cinema con l’adattamento del romanzo Chesil Beach.
Sono pochi i curriculum teatrali paragonabili a quelli di Dominic Cooke (Wimbledon, 1966), regista e assistente alla regia delle prestigiose compagnie Royal Court Theatre, Royal Shakespeare Company e Royal National Theatre. Tuttavia, al contrario di altri colleghi del panorama teatrale britannico, come Stephen Daldry o Sam Mendes, il suo passaggio al cinema non è stato rapido. Perché?
Dominic Cooke (DC): Sì è vero, ho 52 anni. Cosa posso dire? Il teatro mi ha impegnato molto. In realtà ho bisogno di dedicarmi completamente al materiale con cui lavoro, e questo richiede tempo.
Il debutto di Cooke come regista televisivo risale a due anni fa, e si è rivelato un successo. La serie, trasmessa dalla BBC, è The Hollow Crown basata sulle opere shakespeariane Riccardo II ed Enrico IV, parte I e II. Anche al cinema il suo ingresso è stato trionfale, con Chesil Beach – Il segreto di una notte adattato dall’omonimo romanzo di Ian McEwan.
DC: Ho avuto uno strano rapporto con il cinema perché mio padre faceva il montatore. Indubbiamente, il Regno Unito possiede una lunga tradizione di registi teatrali che poi sono diventati registi cinematografici, soprattutto negli ultimi vent’anni con Sam Mendes, Danny Boyle o Stephen Daldry. Il motivo va ricercato nel fatto che al momento di finanziare una pellicola quello che conta sono gli attori. E gli attori preferiscono essere diretti da registi che gli aiutino a dare il meglio e che sappiano come spingerli a darlo. E qui entrano in gioco i registi teatrali. Questo vale soprattuto quando si hanno a disposizione solo tre giorni di prove prima delle riprese, il che qualche volta accade. Non dico che un regista cinematografico non sappia lavorare con gli attori, ma noi drammaturghi parliamo lo stesso linguaggio degli interpreti. Chesil Beach l’ho ereditato da Sam Mendes che stava dirigendo un’altra pellicola su James Bond.
Le sfide affrontate da Cooke sono state notevoli.
DC: Quando ho diretto per la prima volta The Hollow Crown non mi sentivo a mio agio con la telecamera. Dovevo girare l’equivalente di tre lungometraggi in sedici settimane ed erano previste sei battaglie. In compenso, quando si realizza un film, il cinema ti insegna qualcosa di unico: la precisione. Se lavori con un bravo scenografo e un bravo direttore della fotografia sei in grado di definire con esattezza l’idea visiva centrale, il motore di qualsiasi narrazione filmica.
Che in Chesil Beach sarebbe…
DC: Due persone che si incontrano nel posto sbagliato al momento sbagliato (interpretate da Saoirse Ronan e Billy Howle). Io e i miei collaboratori lo abbiamo dimostrato con molte scene d’interno in cui il colore verde è completamente assente. Sono stanze, case, luoghi creati dalle generazioni precedenti, quelle dei genitori dei protagonisti, mentre la natura, negli esterni, è libera e quasi selvaggia. Con questa base si possono già decidere le diverse inquadrature. A teatro, succede qualcosa di simile. Una volta definita la metafora centrale, è possibile sviluppare il muscolo interpretativo di ogni opera.
Nel romanzo di Ian McEwan ogni ambiente è descritto nei minimi dettagli. Al contrario di quanto avviene di solito nelle opere di Shakespeare. Questo rappresenta un problema?
DC: Beh, bisogna ricreare quelle atmosfere, e in realtà una scrittura di questo tipo ha qualcosa di positivo: lo scrittore ha già svolto per te tutto il lavoro di ricerca. Devi solo rispettarlo. Ian McEwan e sua moglie mi hanno fatto fare lunghe passeggiate nei luoghi in cui si svolge l’azione. In alcuni non era possibile girare, in altri sì, come la spiaggia, che è magnifica perché funge da perfetta metafora. È una lingua di terra lunghissima, quindi si può camminare solo da un lato o dall’altro. Se a camminare sono in due o lo fanno insieme o si allontanano, non c’è alternativa. È molto poetico.
Ogni risposta di Cooke si converte in una lezione. Come quando riflette sull’atemporalità della complessità dei rapporti umani, epicentro del romanzo Chesil Beach in cui si narra la gloria e la disfatta di una coppia durante la prima notte di nozze, che va ben oltre l’epoca in cui è ambientata la storia. O quando parla del lavoro svolto con l’onnipresente voice-over che domina il romanzo e che compariva nella prima versione della sceneggiatura.
DC: Ci abbiamo provato anche in postproduzione, ma la domanda che ci siamo posti è: “A chi appartiene questa narrazione?”. Più che fare chiarezza creava confusione. Alla fine, non si può far altro che tralasciare alcune maestrie del libro.
L’ultima serie di domande riguarda il consapevole tradimento attuato quando un romanzo cambia forma.
DC: (Ride). Certo, Shakespeare è morto. Tradirlo è facile. Ian McEwan era una presenza costante, perché ha scritto anche la sceneggiatura. Tuttavia, è da molti anni che i suoi romanzi vengono trasposti al cinema, o per mano sua o con un adattamento a opera di altri, ed è una persona molto pragmatica. Non gli dispiace affatto chiarirti i possibili dubbi sul materiale con cui stai lavorando.
Espiazione, L’amore fatale, Cortesie per gli ospiti, sono solo alcuni dei romanzi passati sul grande schermo. Egli stesso ha scritto per il cinema le sceneggiature di L’innocenza del diavolo o L’ambizione di James Penfield.
DC: Nel bene o nel male, Shakespeare non lo si può consultare di sicuro.
Dominic Cooke, nella sua attività di regista teatrale, ha sempre appoggiato i giovani autori. Viene da chiedersi come mai sia passato all’audiovisivo con due grandi come Shakespeare e Ian McEwan.
DC: Perché nel cinema di oggi il potere lo detengono i manager. Il teatro mi dà maggiore libertà. Nel caso specifico di Chesil Beach non ho avuto nemmeno il diritto di occuparmi del montaggio finale. Credo che questo sia molto dannoso per l’arte. Ci sono troppe voci che interferiscono nel processo creativo. Hollywood e la televisione dei primi anni d’oro si basavano su catene di comando precise e dirette. Adesso il regista deve prodigarsi anche troppo per far valere il suo punto di vista. Dipende tutto dal denaro, è il trionfo del controllo delle corporation.