Il sistema Shakespeare sotto accusa
Translation by Annamaria Martinolli
Il presente saggio breve è stato pubblicato sul sito HowlRound Theatre Commons il 31 agosto 2020 con il titolo Interrogating the Shakespeare System. L’autrice è Madeline Sayet. La traduzione è a cura di Annamaria Martinolli.
Voglio parlare di Shakespeare. Non di Shakespeare il drammaturgo o di Shakespeare il poeta, ma piuttosto di Shakespeare il sistema, e di quello che significa per noi artisti, educatori e direttori appoggiarlo. Chiariamo una cosa, il sistema Shakespeare non è semplicemente costituito dall’opera scritta dell’autore, ma comprende il complesso e oppressivo ruolo che il suo lavoro, il suo retaggio e la sua posizione rivestono nella società contemporanea.
Nutrite già una certa diffidenza? Dopotutto, il sistema educativo statunitense ha addestrato tutti gli americani a credere che Shakespeare sia il migliore. Altrimenti perché è l’unico drammaturgo inserito nell’American Common Core, che contiene gli standard accademici della nostra educazione? Perché è il drammaturgo più prodotto negli Stati Uniti? Perché è l’autore attraverso il quale i bambini vengono avvicinati al teatro? È questo posizionare Shakespeare al vertice del successo teatrale che voglio mettere a processo. È ora di esaminare i fattori che ci hanno indotti a presumere che ci sia un “migliore” e che questo sia lui. Forse che tutte le sue pièces sono buone? Cos’è a renderlo davvero superiore?
Promuovere Shakespeare come il “miglior” autore di tutti i tempi è un punto di vista pericoloso e da supremazia bianca. Finché l’intero settore shakespeariano non troverà il modo adeguato di esaminare la questione, i teatri che producono le opere dell’autore non possono essere spazi accoglienti per persone i cui antenati sono stati picchiati e costretti ad abbandonare la propria lingua e imparare quella di Shakespeare. In quanto produttrice teatrale di origine mohegan è mio dovere sottolineare che l’immenso spazio occupato dalle sue opere è un perpetuo strumento di colonizzazione, così come il suo lavoro è stato usato storicamente come arma per eliminare le altre culture e insegnar loro che un drammaturgo britannico è superiore a tutti gli altri autori. Specifico: non sto parlando di carenza di spazi – i luoghi per ospitare pièces e artisti si moltiplicano continuamente –, ma Shakespeare non è stato posizionato tra noi, è stato posizionato sopra di noi, il che è radicalmente diverso.
Bardolatria
Shakespeare è un dio? E se non lo è, perché si parla di “bardolatria”? E perché esiste il “complesso del missionario shakespeariano”[1]? Ogni volta che sento qualcuno predicare l’universalità di Shakespeare con la stessa convinzione con cui un tempo i missionari brandivano la Bibbia, mi viene da pensare questo è un atteggiamento pericoloso. Eppure nessuno contesta la cosa, anche se non tutti interpretano allo stesso modo la sua opera – e non tutti la amano – .
Se un altro autore fosse trattato al pari di una divinità, ci sarebbe un moto di ribellione, ma qualcosa sul ruolo svolto da Shakespeare durante la colonizzazione dell’America ha fatto di lui l’eccezione. Non sto dicendo che la sua opera lo ha reso eccezionale, ma che il ruolo della sua opera durante la colonizzazione gli ha consentito di occupare una posizione gerarchica in un sistema di oppressione.
Ho assistito alle recenti dichiarazioni antirazziste uscite dalla bocca delle istituzioni shakespeariane sia negli Stati Uniti che a livello internazionale – istituzioni che oltre a trarre beneficio dal sistema Shakespeare esistono per servirlo e appoggiarlo – . Tuttavia, per iniziare un vero lavoro di antirazzismo e decolonizzazione, il primo passo che ogni istituzione shakespeariana dovrebbe compiere è chiedersi: quali sono le conseguenze sociali dell’adorazione di Shakespeare? Bisogna considerare l’immenso spazio che l’autore occupa e le altre voci che vengono ridotte al silenzio per questo motivo.
Di chi è la terra su cui ci troviamo?
Solo all’ultimo anno del mio Bachelor of Fine Arts alla NYU Tish School of the Arts ho scoperto l’esistenza di drammaturghi nativi. Questo accade spesso agli artisti di teatro nativi come me perché negli Stati Uniti si finanziano, producono e insegnano in prevalenza le opere di Shakespeare. Quando ero adolescente, mi era impossibile andare online o in libreria e acquistare una copia di una pièce di un nativo, ma Shakespeare era facilmente reperibile ovunque. E non è un caso.
Questa terra abbonda di ricche e complesse tradizioni narrative indigene, ma in America i nativi sono stati strappati alle loro case, spediti nei convitti, obbligati a rinunciare alla loro lingua e messi a imparare Shakespeare. Miles P. Grier nel suo Staging the Cherokee Otello: an Imperial Economy of Indian Watching analizza gli articoli apparsi tra il 1600 e il 1800 che deridono le reazioni degli indigeni mentre assistono a uno spettacolo di Shakespeare ed esamina come queste reazioni siano state utilizzate per giustificare l’appropriazione delle nostre terre. Viviamo in un paese dove sono state scritte regole che hanno reso illegale l’arte indigena e obbligatorio imparare Shakespeare, e a esser sinceri una rapida occhiata agli attuali curriculum scolastici dimostrerebbe che ben poco è cambiato. Queste sono le fondamenta di Shakespeare in America. E sono marce quanto le fondamenta dell’America stessa.
Non sto dicendo che le opere di Shakespeare non abbiano dei pregi, ma sono limitati e non rappresentano tutti quanti noi. Nessuno dovrebbe essere obbligato a riconoscersi nel suo lavoro. È la voce di un singolo periodo, e la sua esistenza non dovrebbe far sentire inferiore la voce, la lingua o la cultura di qualcun altro. Probabilmente ci sono molti altri drammaturghi che, occupando la stessa posizione, si sarebbero dimostrati altrettanto prolifici. Il perpetuare la “Teoria del grande uomo” – ovvero il fatto che ci sia un esempio di cosa è migliore e degno – va a solo vantaggio del sistema capitalistico e oppressivo statunitense.
Demolire la gerarchia
Non sto dicendo che se amate Shakespeare non dovreste, e non sto nemmeno chiedendo di smettere di produrre le sue opere, sto solo evidenziando che il sistema Shakespeare – dove tutto è paragonato al retaggio di un uomo bianco – è per sua natura distruttivo. Credendo che le sue opere possiedano una virtù innata, ci si lascia sfuggire tutto il danno che sono in grado di causare. Ad esempio, spesso uno studente viene giudicato “sufficientemente intelligente” se è in grado di tradurre “bene” in inglese contemporaneo le poesie di Shakespeare – e quel “bene” si riferisce a criteri fissati dall’insegnante – . Si tratta di un metodo assurdo. La poesia dovrebbe riguardare ampie possibilità di interpretazione, e non limitare lo studente a una risposta sola. Il giusto e sbagliato non esiste quando si interpreta Shakespeare, ma, nel contesto sopra specificato, all’insegnante è stata conferita l’autorità culturale sull’interpretazione, e può potenzialmente zittire la voce degli studenti che dimostrano una diversa visione del mondo.
Allo stesso modo, come si determina se un attore è bravo al corso su Shakespeare? Costringendolo ad azzeccare la postura, la pronuncia e il ritmo “corretti”? E da dove arriva questa “correttezza” di postura, pronuncia e ritmo? Ancora una volta il potere viene consegnato agli oppressori e il sistema coloniale continua. Se Shakespeare deve essere studiato, dovrebbe avvenire in modo da incoraggiare ogni studente, performer e artista a interpretarlo a modo suo.
Personalmente, non mi interessa lavorare con nessuna istituzione shakespeariana non disposta ad accettare questo, perché è un passo indispensabile per lavorare a fondo e creare un’opera d’arte che risuoni nel momento presente. Altrimenti, Shakespeare è, e sempre sarà, una parte del problema.
Cosa farebbe Shakespeare?
Shakespeare non era cosciente del fatto che il suo lavoro sarebbe stato amplificato in questo modo distruttivo. L’idolatria è una gerarchia e dobbiamo essere consapevoli di quanto viene eliminato quando una persona e una visione del mondo vengono innalzati fino al vertice. Non possiamo continuare a promuovere l’idea che un uomo bianco è indubbiamente superiore.
L’ambito degli studi shakespeariani è costituito da un gruppo incredibile di ricercatori e drammaturghi, e se questi individui sono in grado di dedicare ore e ore e ore a ricercare cosa potesse significare per gli spettatori di quattrocento anni fa una singola frase di Shakespeare, possono benissimo dedicare lo stesso tempo a quello che una sua frase potrebbe significare oggi per diversi gruppi di persone. Una parte del loro tempo potrebbe facilmente essere dedicata a come praticare l’antirazzismo.
Credo ancora che ci dovrebbero essere spazi per una gioiosa celebrazione di Shakespeare. Tutti sappiamo che, come poeta, ha scritto alcuni versi eccellenti. Ma la stessa cosa l’hanno fatta anche altri. Shakespeare viveva in un mondo; il nostro mondo oggi è diverso. Se le sue pièces continuano a essere rappresentate, è importante che i shakespeariani spendano la stessa quantità di tempo a imparare a conoscere il mondo in cui viviamo adesso e come siamo arrivati qui. Sinceramente, se Shakespeare fosse ancora una persona – se fosse ancora un drammaturgo anziché un sistema – sarebbe probabilmente quello che farebbe.
Per approfondire l’argomento vedesi anche l’episodio 6 di Why Shakespeare? disponibile in lingua inglese a questo link: https://osfashland.uscreen.io/programs/whyshakespeare?cid=1095414
Informazioni aggiuntive e Note
Le idee espresse in questo articolo nascono da una conversazione tra Madeline Sayet, Mai Ann Teo, Dawn Monique Williams e Sarah Enloe riportata in un capitolo di un libro di prossima uscita sull’egemonia di Shakespeare nel sistema educativo.
Note:
[1] Definizione coniata dalla regista teatrale Dawn Monique Williams per indicare in modo negativo l’utilizzo delle opere di William Shakespeare nei programmi educativi rivolti alle persone “a rischio” basandosi sull’idea che Shakespeare le “migliorerebbe” (N.d.T.).